Il Centro Studi Vitruviani presenta i primi dottori di ricerca in “Architettura classica e Studi Vitruviani. Analisi, rappresentazione, comunicazione e tutela”, grazie ai finanziamenti di FanoAteneo (ente di promozione degli studi universitari finanziato da diverse istituzioni del territorio tra cui Comune di Fano, Fondazione Cassa di Risparmio, Provincia di Pesaro e Urbino, Camera di Commercio, Carifano spa, Banca di Credito Cooperativo, Confindustria), in collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche – Scuola di Dottorato di Ricerca in Scienze dell’Ingegneria e l’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
L’ordine e la geometria nel teatro antico. Diffusione e fortuna del De Architectura di Vitruvio.
Caso studio: il teatro romano di Fanum Fortunae
di Daniela Amadei
Abstract
La stretta relazione che intercorre tra numero e bellezza ha origine antichissima ed ha accompagnato gli studi e le riflessioni di numerosi filosofi e dei più svariati artisti. Un’interessante teoria lega la nascita della matematica alle manifestazioni dei primi riti religiosi che per molti non sono che le primissime esperienze teatrali. Queste esperienze uniscono intimamente il concetto di ordine con il concetto di spazio. La tesi ricerca il nesso tra ordine matematico e spazio teatrale, quest’ultimo spesso definito come lo specchio della società. Il lavoro è stato svolto individuando come fonte principale il De Architectura, unico trattato antico di architettura pervenutoci. Per meglio spiegare i concetti di ordinamento, disposizione, euritmia e simmetria Vitruvio descrive le proporzioni del corpo umano “ideali” che, legate con le proporzioni “ideali” degli edifici, riflettono i rapporti numerici perfetti che danno luogo alla bellezza e all’ordine cosmico. Sia nella descrizione dell’uomo che in quella del teatro risalta l’aspetto grafico e le figure geometriche messe in gioco diventano fondamentali e fondanti. Figure che lo stesso Platone, nel Timeo, aveva utilizzato per generare il mondo visibile. Un percorso quindi che parte dalla matematica e si sviluppa nella disciplina del disegno con l’analisi grafica delle prime edizioni del De Architectura. Un confronto che mette in luce le molteplici versioni di un testo che purtroppo lascia molti nodi irrisolti. L’analisi del teatro vitruviano è stato poi calato nel caso del teatro romano di Fanum Fortunae per due motivi: innanzitutto perché è un teatro recentemente scoperto e quindi campo vergine di indagine e poi perché, proprio come esposto da Vitruvio, a Fanum Fortunae si trova l’unico edificio pubblico da lui realizzato: la basilica. È stato quindi fondamentale l’analisi planimetrica del teatro le cui rispondenze e concordanze con i dettami vitruviani aiutano a dare ulteriori testimonianze dell’effettiva presenza di Vitruvio a Fano.
Interventi infrastrutturali e recenti scoperte di edilizia pubblica augustea lungo la Via Flaminia nell’area medioadriatica
di Massimo Gasparini
Abstract
Il grande fervore edilizio che ha contrassegnato il principato di Augusto è ancora oggi notevolmente testimoniato lungo il tracciato dell’antica via consolare Flaminia. Specialmente il contesto medioadriatico lungo il quale avanza l’asse viario, compreso tra il versante orientale della dorsale appenninica e la costa adriatica, conserva tutt’oggi numerose testimonianze archeologiche infrastrutturali riconducibili alla diretta azione di Augusto. In questa regione si è notato come le città romane di Pisarum, Fanum Fortunae e Forum Sempronii, archeologicamente ben documentate e strettamente legate alla via Flaminia, presentino molteplici emergenze architettoniche, pertinenti a strutture di pubblica utilità, rapportabili a programmi edilizi di impronta augustea.
La ricerca si è concentrata sulla ricognizione territoriale e sull’analisi delle emergenze infrastrutturali della via Flaminia, sull’indagine di carattere bibliografico dei complessi architettonici pesaresi e fanesi noti e riconducibili ad epoca augustea, sullo studio dell’inedita area forense e sulla coppia di edifici templari ad esso pertinenti dell’antica Fossombrone, riportati alla luce nell’ultimo biennio. Una sezione è stata dedicata al confronto tra i dati archeologici emersi e la prassi vitruviana, vista la documentata attività dell’architetto in questo territorio tra periodo tardo-repubblicano ed inizio del principato.
Si è notato come l’intervento augusteo in area medioadriatica sia stato particolarmente incisivo, caratterizzato dalla riorganizzazione urbanistica delle città oggetto di indagine, alla quale si associa anche la documentata esistenza, in ognuno dei centri abitati, di strutture atte alla celebrazione della figura dell’imperatore.
Il lavoro mira a dimostrare come l’azione augustea in area medioadriatica, a causa dell’antico sostegno fornito da questo territorio ad Antonio, sia stata tanto energica al fine di rimarcare, attraverso l’uso di stilemi architetturali in uso sotto il suo principato, l’autorità di Augusto.
Corsi e ricorsi del Classico – Verso la definizione di uno stile architettonico nazionale nel ventennio tra le due guerre.
di Marco Proietti
Abstract
Il titolo parafrasa il concetto di “corsi e ricorsi della storia” di Gian Battista Vico che si ripete seguendo modelli ciclici e ripetitivi simili a se stessi, proprio come nella storia della tradizione occidentale c’è un modello culturale ed artistico che sembra riproporsi ciclicamente, con il riaffiorare periodico del concetto di Classico ed il continuo alternarsi di “morte e rinascite”, che Ernst Howald chiamò la “Forma Ritmica”.
La ricerca fornisce un contributo critico e documentario sulla teoria esposta dal prof. Salvatore Settis, secondo cui il “rudere o la rovina dell’antico rappresentano i segmenti di una memoria architettonica” e fanno comprendere istintivamente la grandezza dell’antico.
Queste rovine costituiscono l’esempio vivente di una “frattura”, di un “trauma” e rafforzano contemporaneamente la supremazia dell’Antico; proprio i modelli antichi sono i più efficaci e costituiscono un potente incentivo alla reinvenzione creativa, ponendoli a paradigma.
Questo meccanismo di riflessione sull’antico e di reinvenzione si riprodusse quasi inalterato nelle tre ultime “Rinascite” del Classico: quella rinascimentale vera e propria, quella neoclassica e quella degli anni Trenta del Novecento. Infatti non fu un caso che nel Quattrocento eruditi ed umanisti studiassero le rovine classiche di Roma, mentre il periodo neoclassico fosse stato preceduto dagli scavi di Paestum, Pompei ed Ercolano.
La nuova campagna di scavi, a cavallo tra quelli per la “liberazione” e la valorizzazione dei ruderi dei Fori Romani da parte di Lanciani (1845-1929) e la progettazione e realizzazione di via dell’Impero, costituì il più potente incentivo per l’ultima “Rinascita del Classico”. L’esaltazione della grandezza dell’antico, propugnata energicamente durante il Ventennio Fascista, produsse sia una serie discutibile di soluzioni di piani urbanistici di impronta retorica, sia quella riscoperta della grandezza di Roma e del Classico che non fu soltanto recupero della memoria bensì costituì una delle due anime della nuova architettura nazionale, di cui il razionalismo architettonico rappresentò l’altra identità. Questo processo di fusione dell’antico e del moderno avvenne in quella “fucina” che fu la Scuola Superiore di Architettura di Roma, dominata da due personalità di spicco, quelle di Gustavo Giovannoni e di Marcello Piacentini, che proposero nuovi modelli per l’ammodernamento delle nostre città storiche, attraverso interventi mirati nei centri storici, grandi realizzazioni in aree periferiche e costruzione di nuove città.
La ricostruzione storica del percorso che condusse alla definizione della nuova architettura italiana fece tesoro della rilevanza di alcune matrici culturali presenti nel dibattito architettonico dell’epoca svoltosi principalmente tra l’impostazione data dalla Scuola romana ed un “Gruppo” di giovani architetti razionalisti nell’ambito del Politecnico di Milano, che furono i più ferventi animatori del dibattito. Fu di estrema rilevanza la matrice “dell’architettura mediterranea”, intesa come ambito di ricerca più vasto di quello nazionale al quale ricondurre l’architettura moderna che, per una coincidenza di principi e di fatti formali, guardava “all’architettura senza architetti” dell’Italia del Sud, delle isole greche e delle coste nordafricane, nella quale si ritenevano fossero contenute le fonti della razionalità costruttiva. La ricerca sull’identità dell’architettura italiana moderna fu perseguita sia dagli accademici, come resistenza alla diffusione internazionale della nuova architettura, sia dai razionalisti, la cui ricerca scaturì dal rapporto di più ampio respiro tra l’avanguardia e la tradizione e fu impostata, per calcolo politico, sull’eredità dell’architettura romana. I giovani architetti non guardarono agli esempi aulici e monumentali della tradizione ma alla domus, considerata come l’archetipo dell’abitazione del bacino mediterraneo, dalla quale derivò anche la casa araba.
Questi due ambiti di ricerca operarono la ricostruzione dell’arduo percorso che portò nel 1920 all’istituzione della Scuola romana ed al difficile percorso compiuto dalla nuova generazione degli architetti razionalisti. Nel corso della I e II Esposizione dell’architettura razionalista del 1928 e del 1931, partendo dal movimento moderno, essi tentarono di indirizzare il cammino evolutivo dell’architettura moderna verso quei caratteri “puri” e permanenti che si ritrovavano nell’edilizia spontanea dell’area mediterranea o nei territori occupati del nord Africa. Abbandonarono ogni estremismo d’avanguardia ed orientarono lo studio verso la tradizione architettonica, accettandone la semplicità morfologica, l’uso razionale dei materiali, il rapporto tra ambiente naturale e soluzioni per il controllo climatico, rivisitati alla luce dei princìpi del movimento moderno, sperimentando un’architettura che potesse gareggiare e indirizzare le coeve ricerche messe in campo dalla Scuola romana.
L’anno 1925 fu la pietra miliare dei due sodalizi; la Scuola romana produsse i suoi primi licenziati, mentre il gruppo di Milano era al suo primo esordio. Le due mostre romane dell’architettura razionale del 1928 e del 1931 delinearono le due posizioni, quella europeista dei razionalisti e quella più radicata nella tradizione italiana della Scuola romana. Esse trovano un felice epilogo nella sapiente costruzione degli edifici della Città Universitaria di Roma del 1935. L’uscita di scena dei Razionalisti e l’imporsi della forte eredità romana voluta dal Regime Fascista all’indomani della conquista di Etiopia del 1936 fecero fallire l’arduo tentativo di conciliare le due opposte esigenze e costituirono altrettanti capitoli del processo di costruzione dell’identità dell’architettura italiana. L’asse di ricerca fu nettamente spostato verso il recupero di una classicità latina, che trovò una sua attuazione del cantiere dell’E42, ove confluirono anche le ricerche più tradizionaliste della cultura milanese, collegata al circolo culturale della Margherita Sarfatti. I caratteri distintivi della nuova estetica architettonica contemporanea nacquero quindi proprio dalla prima Esposizione di Architettura Razionale fondando un nuovo linguaggio nazionale. In esso oggi rinveniamo la radice dell’aggettivazione in chiave nazionalista dell’architettura italiana, ancor più vicina al linguaggio internazionale del Razionalismo, come dimostra il fatto che, dopo la parentesi del Fascismo e della guerra, essa abbia continuato il suo cammino in un contesto ormai democratico.