MANIA GEOMETRICA
di Francesca Borgo
“Disegnati a penna e inchiostro con minuzia da miniaturista, centosettantasei cerchi e semicerchi affollano il foglio, stipati su nove filari alternati a brevi colonne di testo. Il più spettacolare di una serie di studi funzionali alla quadratura del cerchio – l’antica utopia geometrica che a lungo ossessiona Leonardo – il disegno serve a sistematizzare, in una sorta di atlante visivo, diverse declinazioni della stessa equivalenza di superficie: centosettentasei soluzioni allo stesso problema, schierate sulla carta con un piacere che è insieme cerebrale e – innegabilmente – estetico.
[…]
Come dichiara il titolo, il soggetto del foglio è la «transmutazione d’equali superfizi rettilinie in varie figure curvilinie», un esercizio propedeutico alla quadratura del cerchio, la cui soluzione Leonardo attribuiva a Vitruvio, «il primo che la trovò a caso» – e per di più senza accorgersene – grazie a un metodo non propriamente matematico, ma piuttosto empirico e meccanico. Nel contemporaneo Manoscritto G (1510-1515) Leonardo associa infatti la quadratura del cerchio al meccanismo dell’odometro vitruviano, osservando come, nel misurare una distanza, le rivoluzioni della ruota del contachilometri non facciano che risolvere una circonferenza in una retta, srotolandola come una buccia d’arancia…”
- Dettaglio Codice atlantico f 455r
CTESIBIO, LA CLESSIDRA E IL SALVAGENTE
di Cristiano Zanetti
“Il termine clessidra è una parola composta che deriva dall’antico greco e letteralmente significa “ruba-acqua”. Le primitive clessidre erano infatti vasi con tacche segna-livello che si svuotavano tramite un foro nella base. Tali sistemi di cronometraggio erano poco precisi: la pressione dell’acqua diminuiva con il calare del livello del liquido, rendendo il flusso progressivamente più lento e scarso. Vitruvio, nell’ultimo capitolo del libro IX del De architectura, ci parla delle prime clessidre di precisione prodotte da grandi matematici greci quali Ctesibio d’Alessandria, inventore del III secolo a.C.
[…]
Le clessidre descritte da Vitruvio presentano certe importanti caratteristiche meccaniche a cui guarda Leonardo interpretandole in modo originale. Nel f. 943r del Codice atlantico possiamo apprezzare il complesso ragionamento di Leonardo, fatto di rappresentazioni grafiche in sequenze progressive a cui alla fine si aggiunge una descrizione scritta nella classica grafia speculare leonardesca. Per ottenere l’uniformità del flusso di cui parla Vitruvio, Leonardo immagina una clessidra rifornita da un canale n che sversa costantemente dell’acqua nel recipiente m, montato su un perno, e quindi predisposto a un moto rotatorio che gli permette, tramite uno sversatore, di colmare progressivamente i ventiquattro «bottini» o “recipienti delle ore”, di cui qui vediamo rappresentato solo il primo. Due galleggianti, grazie alla spinta dell’acqua, fungono da attivatori di due diverse operazioni meccaniche…”
Estratto dal catalogo della mostra “Leonardo e Vitruvio. Oltre il cerchio e il quadrato” Collana del Centro Studi Vitruviani – Marsilio Editori
- Dettaglio Codice atlantico, f. 943r
MISURARE LE DISTANZE ALL’ANTICA
di Richard Schofield
“Sulla metà destra del f. 1r del Codice atlantico, Leonardo propone due diverse versioni dello stesso strumento, un odometro: a sinistra, a due ruote; a destra, a una ruota sola. Il primo disegno è corredato da una lunga didascalia che descrive il funzionamento dello strumento; nel testo, però, Leonardo si dimostra più interessato a fare sfoggio delle sue nozioni matematiche su π che non a illustrare in dettaglio la costruzione dell’odometro.
[…]
L’odometro disegnato da Leonardo si basa almeno in parte sulla descrizione dello strumento fornita da Vitruvio (x, 9, 1-7). In questo foglio Leonardo non cita esplicitamente l’autore latino, ma qualche anno più avanti, nel Manoscritto G (f. 96r, 1510-1511) fa riferimento a questo passo del De architectura – che conosce presumibilmente in maniera indiretta, attraverso altre fonti – osservando che nonostante Vitruvio avesse capito come misurare le distanze utilizzando la circonferenza delle ruote dei carri, ignorava la possibilità di utilizzare questo stesso metodo per quadrare il cerchio, un problema che invece Archimede era riuscito a risolvere.
Il funzionamento dell’odometro si basa sulla trasmissione del movimento delle ruote a un sistema di dischi. L’odometro che descrive Vitruvio si articola in quattro elementi montati su una raeda, un veicolo a quattro ruote sufficientemente spazioso per trasportare uomini e salmerie, come si vede nei rilievi della Colonna Traiana: ignorandone l’aspetto, Leonardo disegna invece un carro a una e due ruote…”
Estratto dal catalogo della mostra “Leonardo e Vitruvio. Oltre il cerchio e il quadrato” Collana del Centro Studi Vitruviani – Marsilio Editori
- Dettaglio Codice atlantico f. 1r-b
IL PROGETTO PER IL TIBURIO DEL DUOMO DI MILANO
di Giulia Ceriani Sebregondi
“Leonardo da Vinci, giunto a Milano nel 1482, non aveva ancora avuto alcuna esperienza diretta come architetto prima del 1487, momento in cui fu coinvolto nel “concorso” per la costruzione del tiburio del Duomo di Milano, la grande cupola all’incrocio dei bracci della chiesa.
[…]
Possediamo i frammenti iniziali di una sua lettera non datata e forse mai spedita, che avrebbe dovuto illustrare ai fabbricieri del Duomo il suo modello per il tiburio. Richiamandosi all’interpretazione antropomorfa delle forme architettoniche di ispirazione vitruviana, Leonardo propose di pensare all’architetto come a un medico e all’architettura del Duomo come a un corpo malato: «Signori padri diputati, sì come ai medici, tutori, curatori de li ammalati, bisogna intendere che cosa è omo, che cosa è vita, che cosa è sanità […]. Questo medesimo bisogna al malato domo, cioè uno medico architetto».
[…]
Tra i disegni universalmente attribuiti a Leonardo e riferibili al tiburio, l’unico simile a un disegno esecutivo, nonché l’unico di tipo costruttivo nel corpus dei disegni architettonici di Leonardo, è la celebre sezione contenuta nel Codice atlantico, f. 850r, insieme al suo precedente nel f. 851r . I due disegni sono eseguiti alla stessa scala, che corrisponde al rapporto di 1:144, e il f. 851r è servito come base per realizzare il f. 850r…”
Estratto dal catalogo della mostra “Leonardo e Vitruvio. Oltre il cerchio e il quadrato” Collana del Centro Studi Vitruviani – Marsilio Editori
- Codice Atlantico f. 850r
LEONARDO E L’ARTE DELL’INGEGNERIA
di Matthew Landrus
“Nel biennio 1488-1490, gli anni in cui lavora a tempo pieno presso la corte sforzesca nella nuova veste di pittore, scultore e ingegnere, Leonardo completa due imprese grafiche oggi famose: il celeberrimo Uomo vitruviano e una serie di disegni di grandi macchine d’assedio.
[…]
Macchine di dimensioni colossali come quelle raffigurate ai ff. 147v e 141r del Codice atlantico sono rappresentate in parte in prospettiva e in parte come assonometrie dimetriche, e sono quindi più facili da misurare per i costruttori perché i rapporti proporzionali tra due delle tre dimensioni si mantengono costanti. La balestra gigante del f. 149r-b del Codice atlantico è disegnata secondo questi principi e strutturata per componenti modulari in rapporto proporzionale di 1:3, in modo tale che le misure di ciascun elemento risultino divisibili per 1/3, rendendo più facile modificare la scala di ciascuna parte senza perdere le proporzioni dell’insieme…”
Estratto dal catalogo della mostra “Leonardo e Vitruvio. Oltre il cerchio e il quadrato” Collana del Centro Studi Vitruviani – Marsilio Editori
- Dettaglio Codice atlantico f. 147 v-a
Articolo Salvatore Settis 29-01-2017 “Il Sole 24 Ore”
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ARTE 29 Gennaio 2017Il Sole 24 Ore domenica
Adottato il «giuramento di vitruvio»
Architetture antiscempio
«Gli errori dei medici finiscono sottoterra, gli errori degli architetti sono sotto gli occhi di tutti»: questo aforisma circola in molte varianti, fra cui una attribuita a Frank Lloyd Wright («i medici possono seppellire i loro errori, gli architetti possono solo coprirli con piante rampicanti»), che con qualche irriverenza potrebbe adattarsi agli “eco-grattacieli” del nostro tempo. Ma lasciamo perdere queste spiritosaggini: la verità è che fra “gli errori dei medici” che danneggiano e qualche volta uccidono i pazienti, e gli errori degli architetti, che devastano il corpo sociale riempiendo di orrori città e campagne, c’è davvero una forte analogia. Lo spazio in cui viviamo è un formidabile capitale cognitivo che costruisce l’identità collettiva delle comunità. La frammentazione territoriale, la violenta e veloce modificazione dei paesaggi, il dilagare di periferie-sprawl, il moltiplicarsi di rovine, discariche, non-luoghi residuali che crescono con una malata obesità, innesca patologie individuali e sociali, sradica le identità acquisite e modifica i comportamenti, segna di piaghe indelebili il corpo della società.
Fu pensando a questo tema che proposi tre anni fa (nel Domenicale del 12 gennaio 2014) di introdurre, per analogia al giuramento di Ippocrate, con cui il medico s’impegna a operare solo per il bene del paziente, un “giuramento di Vitruvio”, secondo il quale gli architetti promettano di «legare etica e conoscenza impegnandosi a realizzare sempre edifici di qualità evitando scempi ambientali». Quel testo era tratto dalla mia prolusione alla facoltà di Architettura di Reggio Calabria, che mi conferiva una laurea honoris causa; una versione più matura dello stesso testo formò poi un capitolo (intitolato L’etica dell’architetto: Ippocrate e Vitruvio) del mio piccolo libro Se Venezia muore (Einaudi 2015), poi tradotto in francese, tedesco e inglese. Scrivevo allora: «l’architetto opera in un empireo dominato dalla sola ragione estetica e senza alcun rapporto con la società, la cittadinanza, la memoria culturale? È vero il contrario: il suo mestiere ha un forte e capillare impatto sulla vita di tutti attraverso le modificazioni dell’ambiente urbano e del paesaggio, cioè delle delle dinamiche della società civile. Ma nel mestiere dell’architetto esiste un’etica professionale? Un architetto deve solo obbedire alle richieste del committente, oppure, quando progetta e costruisce un edificio o trasforma un paesaggio o una città, deve avere tener conto del contesto storico, naturale, ambientale in cui opera?». E richiamavo la testimonianza di Rem Koolhaas, nell’introduzione al catalogo della Biennale 2014: «l’economia di mercato ha corroso la dimensione morale dell’architettura […], costretta a muoversi entro il sistema neoliberista di cui Ronald Reagan è stato il protoarchitetto».
La proposta di un “giuramento di Vitruvio”, modellata sul giuramento di Ippocrate (un testo, scritto intorno al 400 a.C., che viene dalla scuola ippocratica), era fondata sulla celebre pagina del De architectura di Vitruvio in cui l’architetto romano (tardo I secolo a.C.) delinea la figura dell’architetto ideale, elencando fra le sue virtù necessarie la cultura che noi chiameremmo umanistica, la conoscenza storica, il rispetto della salubrità dell’ambiente. Le reazioni non si fecero attendere. Per citare solo qualcuno, Francesco Gurrieri (La Nazione, 25 gennaio 2014) riconnesse le mie parole a quanto su temi simili scrivevano Michelucci, Quaroni e Savioli, elogiando la «lucida stimolante equazione culturale» fra l’etica del medico e quella dell’architetto. Tiziana Di Bella (architetto di Prato) scrisse che «di fronte agli scempi e alle brutture del territorio gli Ordini tacciono, le Facoltà di Architettura tacciono, – salvo rare, fioche voci»; che «non dovremmo neppure chiamare architetti coloro che progettano senza considerare le relazioni profonde fra uomo, ambiente e paesaggio»; e deplorò che sia «praticamente inesistente l’educazione al paesaggio e all’architettura -nostra terza pelle», perché «Le Corbusier diceva che l’architettura ha torto, la vita ha ragione». Stefano Pantaleoni (architetto di Bologna) obiettò invece che, mentre il rapporto medico-paziente si svolge tra individui, «l’architetto è un elemento, primario finché si vuole, ma non autonomo, di una catena decisionale e produttiva», anzi «ha ormai spazi quasi inesistenti per esercitare il suo giudizio», e deve pertanto «accordare investitori con burocrati, accontentare gli esteti (…), prendere decisioni dolorosamente inevitabili per trovare il minimo dei compromessi».
Massimo Bilò (architetto di Roma) scriveva al Sole 24 Ore (26 gennaio 2014) che le principali responsabilità ricadono sui «decisori (i committenti pubblici in particolare), e servirebbe un tribunale di giustizia per mettere al riparo i professionisti dal ricatto continuo in cui operano»; più che un giuramento degli architetti, continuava, «sarebbe il caso di imporre un giuramento a quanti gestiscono la res publica» (al che avevo risposto che «sulla nostra Costituzione i nostri politici già giurano, ma delegare solo a loro ogni principio di etica pubblica sarebbe abdicare non solo alla dignità di architetto, ma anche a quella di cittadino»). Nicola Di Battista, in un editoriale di Domus (febbraio 2014), «profondamente colpito» dalla mia proposta, osservava però che «additare l’architetto come uno dei principali colpevoli delle devastazioni del paesaggio è un po’ come sparare sulla Croce Rossa», dato che «l’architettura non è, non può, non deve essere un’arte personale. È un’arte collettiva», e non ha senso parlare di etica riferendosi a un’intera professione, anzi «non c’è bisogno oggi di nuovi giuramenti fatti da questa professione». Al contrario, Giuseppe Barbieri (professore a Venezia) richiamava un suo studio sulle Virtù dell’architetto, in cui mostra come i precetti di Vitruvio siano stati accolti e ampliati da Serlio, Cataneo, Rusconi, e più indirettamente (ed efficacemente) da Palladio o dal suo commentatore Daniele Barbaro, secondo cui «la dignità dell’Architettura è alla Sapienza vicina e come Virtù Heroica nel mezzo di tutte l’Arti dimora». Altri ancora ricordarono la formula di proclamazione dei laureati in ingegneria al Politecnico di Milano (che li impegna ad «operare con dignità senza soggiacere ad interessi, imposizioni e suggestioni di qualunque natura»); Alesssandro Mortarino, infine, segnalava, sul blog www.salviamoilpaesaggio.it, un gruppo di architetti che aveva lanciato una sorta di “obiezione civile collettiva” nei confronti del consumo di suolo e delle devastazioni ambientali.
È in questo contesto che il vero e proprio testo di un “giuramento di Vitruvio” è stato scritto, da professionisti del Centro Studi Vitruviani di Fano e del Dipartimento di Architettura di Ferrara, e adottato dall’Ordine degli architetti di Reggio Emilia, presieduto da Andrea Rinaldi, lanciando la proposta che esso venga accolto e adottato da altri Ordini in tutta Italia. Qualche volta (anche stavolta?) una “modesta proposta”, anche se fatta sottovoce, trova forti echi nella società, specialmente quando un duro trauma l’abbia colpita. È il caso della Siria, dove l’architetto Marwa al-Sabouni, in un libro commovente (The Battle for Home, 2016), denuncia il «vandalismo di Stato» che semina casermoni di cemento, «serbatoi di alienazione sociale»; e lo fa distruggendo i centri storici, in cui «le antiche città si mostravano generose coi loro residenti, perpetuando armonia fra le culture, e trasmettendo questo modello ai cittadini: quasi fossero, le città storiche, un grembo entro cui prendeva forma una moralità condivisa». La moralità dell’architettura, appunto.
Salvatore Settis
IL GIURAMENTO DI VITRUVIO
Il Centro Studi Vitruviani ha preso l’iniziativa di promuovere la proposta lanciata da Salvatore Settis circa due anni fa su Il Sole 24 Ore (leggi l’articolo 12-01-14).
La collaborazione tra il Centro Studi Vitruviani e il dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara ha poi recentemente portato alla stesura del testo del Giuramento condiviso anche dal prof. Settis.
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L’Ordine degli architetti di Reggio Emilia è stato il primo ad adottarlo per i suoi iscritti e a renderlo obbligatorio per i giovani architetti che si iscriveranno d’ora in poi all’ordine.
Qui l’articolo del prof. Settis che ne annuncia la nascita e l’adozione. (leggi articolo 29-01-17)
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Vitruvio e l’abitare contemporaneo – 4 febbraio 2017
Presso la sala ipogea della Mediateca Montanari di Fano saranno presentati gli obiettivi di una nuova ricerca il cui intento è riscoprire quanto e come gli insegnamenti di Marco Vitruvio Pollione a noi giunti, siano vivi nella ricerca del progetto dell’architettura e nel senso dell’abitare contemporaneo. Accompagnati da una riflessione sul mestiere di architetto.
Sarà presentata l’iniziativa del “Giuramento di Vitruvio”.
L’ingresso è libero. 2 crediti formativi per architetti
– MUSEO DELLA VIA FLAMINIA –
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Il Museo della Via Flaminia è il primo obiettivo raggiunto tra quelli previsti nell’ambito del progetto Flaminia Nextone, cofinanziato dalla Regione Marche nell’ambito del programma regionale del distretto culturale evoluto e promosso dal Comune di Fano quale Ente capofila.
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Il museo, ospitato nella prestigiosa sede della chiesa di San Michele, presso l’Arco di Augusto, è concepito come un grande contenitore tecnologico di informazioni e moderni mezzi di comunicazione delle stesse e metterà a disposizione del visitatore un serbatoio di contenuti multimediali relativi alla via Flaminia, alla Fano romana e al rapporto tra queste realtà e l’opera di Vitruvio. Nella sala troverà spazio anche un’anticipazione del prossimo pilot in progettazione che vede come protagonista l’area archeologica di Forum Sempronii presso Fossombrone.
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ARIA – La Casa Consapevole
CONOSCERE IL PASSATO PER COSTRUIRE IL FUTURO!
E’ con questo spirito che il Centro Studi Vitruviani e l’Archeoclub di Fano si inseriscono nel contesto di questo nuovissimo evento dedicato alla casa e al costruire in maniera innovativa e consapevole.
Per l’occasione è prevista la visita guidata (su prenotazione) al complesso monumentale di S. Agostino. Il percorso, che prevede la visita dell’area archeologica ipogea, del Convento e della Chiesa, metterà in luce le diverse tecniche costruttive e di finitura utilizzate in questa straordinaria stratigrafia architettonica dall’epoca romana ad oggi.
La lettura del testo di Vitruvio accompagnerà l’approfondimento di queste tematiche.
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www.aria.casa
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